E’ necessario che l’architetto abbia una conoscenza scientifica della materia, delle sue possibilità di trasformazione, del suo comportamento.
I congegni tecnologici oggi sono disparati, complessi, in continuo sviluppo: padroneggiarli richiede un notevole livello di competenza che viene auspicata da Renzo Piano (autore del concept introduttivo) come l’unica via possibile per una professione sempre consapevole.
La realtà in cui siamo introdotti ed il contesto socio-ambientale che viviamo infatti sono l’espressione costante di una (sotto)cultura che si manifesta proprio attraverso la dinamica hi-tech. Dalle case “intelligenti” ai sistemi di controllo ambientale, dai supporti informatici applicati su ogni scala della nostra esistenza alle dotazioni accessorie calibrate sulle diverse esigenze del quotidiano, è necessario confrontarsi sempre di più con specialisti di settore che possano sviluppare insieme all’architetto, in una concezione organica degli eventi, anche i nuovi scenari della casa.
L’approccio scientifico di cui parla Renzo Piano è calibrato proprio sulla necessità di individuare la chiave per la ricerca della corretta disciplina progettuale impostata sulla consapevolezza high-tech. Il maestro ligure infatti sostiene che il lavoro …non deve consistere in una riproduzione morfologica, in una rappresentazione mimetica del mondo naturale: sarebbe un’operazione accademica, come il recupero dell’arco e della colonna. Il problema è dissezionare, memorizzare i fattori strutturali, l’aspetto visibile dei processi costruttivi… in modo da osservare la natura secondo una proiezione biotecnologica, come se tra elemento high-tech e realtà fisica fosse in atto un processo di simbiosi.
E’ l’atteggiamento che prelude anche al Comfort Home Automation ed a tutte le applicazioni che vengono attualmente associate alla domotica. Infatti i sistemi di automazione domestica sono oggi in grado di offrire soluzioni avanzate che coinvolgono tutti gli aspetti della vita, attraverso il controllo diretto del comfort, della sicurezza, del risparmio energetico, della comunicazione e del controllo gestionale di tutti i sistemi della casa. Una casa intelligente, quindi, supportata da tecnologie eco-sostenibili che amplificano notevolmente le interazioni con lo spazio architettonico non più concepito secondo strumenti tradizionali di tipo “passivo”. Si costituisce in questo modo una sorta di architettura di collegamento, che mette in contatto le diverse realtà (o discipline), abbatte i diaframmi divisori afferenti alla ideologia meccanicistica come struttura di pensiero basato sul limite e non sull’interazione. Nasce la cultura del dispositivo che interagisce con la casa secondo la formula dell’integrazione funzionale basata sul principio dell’ottimizzazione dei costi e delle risorse come se, parlando della residenza, ci esprimessimo ormai alla stregua di un semplice software.
Forse bisogna essere più cauti se non si vuole perdere di vista l’aspetto qualitativo della dimensione architettonica applicata sulla nostra esistenza.
La storia dell’architettura rende omaggio alla cultura high tech paradossalmente secondo una lettura più poetica, quasi nostalgica della visione brutalista che dell’industrial style ne strutturava i codici linguistici. Le residenze e gli edifici pubblici concepiti secondo tale impostazione assumono infatti un aspetto crudamente tecnologico (technological look) attraverso un nuovo paradigma che vede nel concetto del “contenitore”, la cui forma è indipendente dalla funzione svolta al suo interno, il nuovo carattere tipologico dell’architettura. Questo permette di strutturare uno spazio interno che assolve a più funzioni secondo un principio di flessibilità come strategia di organizzazione degli ambiti. Sono Joan Kron e Suzanne Slesin a sdoganare l’architettura high tech come potenzialità espressiva e formula di una nuova concezione dello spazio architettonico, ed attraverso il loro libro High Tech: the industrial style and source book for the home vengono esaltate le applicazioni dei materiali industriali come risorsa creativa. I pavimenti in battuto di cemento o impianti come tubi a vista, giunti e snodi risolti con dettagli perfetti, ampie superfici vetrate e paramenti metallici sono tutti i caratteri tipici per realtà produttive (come le fabbriche) che diventano i nuovi elementi della progettazione secondo un processo di identificazione dello hi-tech style.
Allora è possibile sostenere che noi, figli dell’estetica industriale, avendo metabolizzato questo codice espressivo siamo assolutamente disponibili all’innovazione tecnologica secondo un compromesso (a volte molto pericoloso) fra morfemi kitsch ed iperdotazioni ambientali calibrate sul mondo del wellness che ci fanno accettare, e quasi esaltare, tutti quegli elementi che ricordano in maniera diretta il manufatto produttivo secondo complessi sistemi di rimandi concettuali, in cui impianti e tecnologia sono stati utilizzati per comunicare sia nel senso teorico che pratico del termine.
Forse sembra già lontana la direzione tracciata da Renzo Piano con tanta passione e coerenza fra l’esperienza del Beabourg (edificio manifesto del “mondo” high tech) e l’applicazione della casa industriale di Cusago (Milano) concepita come una vera e propria macchina abitativa, prodotta industrialmente secondo un concetto di edilizia evolutiva, adattabile alle esigenze dell’utenza: flessibile. Nasce in questo caso la proposta di un contenitore privo di tramezzi interni in cui l’articolazione dello spazio, invece che ai pilastri o pareti divisorie, è affidata agli elementi d’arredo. Duttilità e trattabilità della casa diventano la prerogativa fondamentale attraverso la quale l’utente può personalizzare la propria residenza. Quella di Cusago è allora una esperienza che coniuga, già agli inizi degli anni settanta, i principi olistici nell’architettura secondo una poetica dell’high tech, nella formulazione più alta dell’applicazione di questo termine/pensiero.
I protagonisti dell’architettura contemporanea (lontani eredi delle significative sperimentazioni che, dagli Archigram ai Metabolist, hanno contribuito alla nascita del pensiero hi-tech) si distinguono oggi attraverso sofisticate applicazioni in cui la firmitas vitruviana viene esaltata per mezzo delle nuove tecnologie (o delle ipertecnologie) senza valorizzare in molti casi, però, la ricerca spaziale che stabilisce la portata fondamentale del contributo high tech al nostro tempo.
Secondo Jean Nouvel (altro raffinato interprete che non sofferma le sue indagini alla semplicistica applicazione tecnologica) un edificio deve saper comunicare le inquietudini di un epoca. Allora possiamo dire, almeno per quanto riguarda la realtà che ci circonda, che siamo in una fase molto inquieta ?
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