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Non vi sono più stanze, ma solo situazioni

E’ con questa affermazione che nel 1999 al MoMA di New York viene celebrata, attraverso la mostra The Un-Private House, la presa di coscienza di una nuova dimensione concettuale della residenza contemporanea. Gli architetti Scogin/Elam, coinvolti nella partecipazione all’evento, sintetizzano con questa affermazione la proiezione della sperimentazione sulla casa ed i nuovi modi di abitare. E’ la conclusione di un percorso. L’inizio di una nuova coscienza collettiva. (foto 1)

Potremmo considerare la questione anche dal punto di vista sociale.

La cultura Occidentale, infatti,  in gran parte fonda il proprio pensiero sulla concezione meccanicistica del mondo; la parcellizzazione degli ambienti, attraverso la definizione delle diverse stanze della casa (sala da pranzo, camera da letto, salone, studio etc.) che hanno funzioni determinate rappresenta, parafrasando un’espressione di Mies, l’immagine della società concepita spazialmente. La stanza è caratterizzata da mobili (espressi, paradossalmente, attraverso complementi di arredo generalmente fissi) ed utensili specifici per la funzione che le è assegnata. In mancanza dell’abitante, questi si impadroniscono dello spazio. La stessa presenza umana ne è a volte limitata e deve cedere parte del suo protagonismo a questo mondo di oggetti (fino a concepire situazioni estreme, in cui la residenza raggiunge la massima sublimazione proprio in ragione dell’assenza dell’uomo). (foto 2)

Se, invece, rivolgiamo l’attenzione ad una dimensione culturale differente dalla nostra (occidentale) come, per esempio, il pensiero giapponese possiamo notare che lo spazio interno della casa tradizionale viene assunto come una sorta di cornice neutra, che non è attivata se non dalla presenza dell’utente. Il mobilio propriamente detto è molto scarso, il resto degli utensili è riposto negli armadi, il fouton è un “letto” che viene steso sul tatami all’occorrenza, senza una destinazione specifica nello spazio. La gerarchia delle stanze non risponde più a criteri dimensionali e funzionali ma di situazione. La loro dimensione, così come la collocazione in un luogo, è totalmente variabile. I pannelli mobili interni permettono di unire varie stanze contigue. Le porte scorrevoli permettono di prolungare visivamente l’ambiente all’esterno. Superficie, luce ed aperture sono perfettamente controllabili, adattandosi alla volontà ed alle necessità del residente. (foto 3/4)

Si focalizzano allora nuovi aspetti, valori espressi in precedenza anche da R.Arnheim per il quale lo spazio nasce come relazione tra gli oggetti, che introducono ai meccanismi di relazione topologica in cui sono i reciproci influssi delle cose materiali a determinare lo spazio fra di loro…dal momento che abbiamo a che fare con l’esperienza psicologica dello spazio, molto dipende dal modo in cui l’osservatore concepisce, e quindi struttura, la situazione. Lo spazio della casa si trasforma, allora, da una sequenza di scatole chiuse ad un insieme di interrelazioni flessibili e disponibili alle diverse esigenze esperite non più in contesti specifici ma in nuovi non-luoghi della residenza: gli ambiti.

Non si privilegia l’architettura ma la sua percezione da parte dell’osservatore, la forma viene considerata non come misura o proporzione, ma come struttura sottesa, cioè come sistema di relazioni fra gli elementi che diventano più importanti degli elementi stessi. Lo spazio (che potremmo definire topologico) viene generato allora attraverso una sorta di logica posizionale degli elementi, cioè attraverso la disposizione che genera le relazioni spaziali: intorno a, vicino a, sopra a, dentro a. Il valore formale viene sostituito dal valore spaziale della configurazione.

Dalla ricerca di Mies van der Rohe, in cui il lavoro sulla residenza viene affrontato attraverso la massima astrazione (rinunciando alla dimensione rituale della famiglia tradizionale azzerando, così, tutte le certezze convenzionali connesse al modello abitativo) che si traduce in case organizzate attraverso un contesto continuo di ambiti in cui gli oggetti (i mobili) sono localizzati in modo strategico (suggerendo, attraverso la loro specifica presenza, l’uso possibile delle varie “zone” della casa) all’eredità raccolta da R.Koolhaas, dove l’indeterminatezza relazionale viene intesa come paradigma conformante lo spazio e le sue modalità di fruizione, si rintraccia  la sedimentazione del concetto di ambito che nel tempo ha maturato una sorta di coscienza transculturale che oggi si rende esplicita anche nella progettazione della casa. (foto 5/6)

Assistiamo quindi alla determinazione di ambiti come identità delle possibili attività piuttosto che alla definizione di stanze monofunzionali come nuova strategia di progetto. L’impianto della casa si imposta sull’assenza di una volontà deterministica, nel dualismo forma-funzione, che costituisce la base di una flessibilità interna (altro nuovo paradigma della residenza contemporanea…e vocabolo di riflessione dei prossimi appuntamenti), anche di tipo percettivo. Costituito in questo modo l’ambiente residenziale viene esperito come contenitore polivalente e mutevole. Si prefigura così uno spazio per abitare dinamico, sensibile alle diverse esigenze (sempre meno omologabili) dell’utente.

Il significato del mobile (o, nella versione più raffinata, dell’oggetto di design) è, allora, assolutamente coerente all’espressione di “complemento d’arredo”. Il valore dell’oggetto si traduce nella sua “complementarità topologica” con lo spazio (gli ambiti) e l’utente, assumendo un ruolo chiave che si riferisce ormai a molteplici livelli di relazione. L’oggetto non può essere solo fine a se stesso. Se lo è stabilisce almeno un forte criterio di interazione con l’ambito creato appositamente per accoglierlo. (foto 7/8/9/10)

Chissà se il prossimo futuro ci riserva con gli ambiti un linguaggio idoneo alle modificazioni in atto dove, per esempio, al posto dei vani (sinonimo commerciale delle stanze monofunzionali) ci saranno nuove letture potenziali dello spazio, senza confezionare uno standard di cui forse nessuno ha più bisogno ?

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