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27 Gennaio 2004

Transit city: suggestioni dal finestrino

Se toccando terra a Trude non avessi letto il nome della città scritto a grandi lettere, avrei creduto d’essere arrivato allo stesso aeroporto da cui ero partito. I sobborghi che mi fecero attraversare non erano diversi da quegli altri, con le stesse case gialline e verdoline. Seguendo le stesse frecce si girava le stesse aiole delle stesse piazze. Le vie del centro mettevano in mostra mercanzie imballaggi insegne che non cambiavano in nulla. Era la prima volta che venivo a Trude, ma conoscevo già l’albergo in cui mi capitò di scendere; avevo già sentito e detto i miei dialoghi con compratori e venditori di ferraglia; altre giornate uguali a quella erano finite guardando attraverso gli stessi bicchieri gli stessi ombelichi che ondeggiavano.

Perché venire a Trude? Mi chiedevo. E già volevo ripartire.
Puoi riprendere il volo quando vuoi, mi dissero, ma arriverai a un’altra Trude, uguale punto per punto, il mondo è ricoperto da un’unica Trude che non comincia e non finisce, cambia solo il nome all’aeroporto. 1
Il racconto di Calvino sembra essere il preludio alle riflessioni sulla realtà urbana in esame, metafora della città continua che riflette il modello interpretabile per l’area metropolitana di Roma.
Assistiamo, ormai, al grosso centro che travalica i suoi confini comunali per saldarsi a quel sistema insediativo nato sulle sue direttrici, formato da nuclei (ognuno di modeste dimensioni) aventi embrioni di attività autonome ma con scarse relazioni tra di loro. Il potenziamento e l’ammodernamento del sistema ferroviario locale enfatizza tale processo, ingenerando sempre più fenomeni di pendolarismo verso il centro urbano del comune di Roma.
Evidenziare i “processi” in atto sul territorio, interpretandone gli effetti e le potenzialità, piuttosto che cristallizzare situazioni (comunque) in continua mutazione, anche dal punto di vista sociale, è lo spirito che accompagna queste brevi osservazioni.

…La città sarà vivificata e strutturata dalle nuove reti tecnologiche: dalle ferrovie che sono le arterie pulsanti e i poderosi battiti del cuore di un tutto intensamente vivo e dai fili del telegrafo altrettanti nervi, ciascuno dei quali trasmette impulsi di pensiero e di azione. Dalla staticità della città-corpo si passa alla mobilità di un organismo vivente… 2

Già agli inizi del XX° secolo Geddes, in particolar modo nel testo Città in evoluzione, sposta l’attenzione decisamente sui flussi e sulle reti, accettando la crescita della metropoli come fatto ineluttabile: non la rifiuta come elemento negativo, ma la assume come dato emergente della nuova condizione urbana.
Nuovi sistemi produttivi, nuove infrastrutture di trasporto e di comunicazione struttureranno l’urbanizzazione diffusa della sua città-regione…bisogna mettere la città in relazione non solo con i suoi dintorni immediati, ma anche con la più vasta regione che la circonda… La città può perdere il suo limite ed espandersi nel territorio. La nuova metafora diviene la “madrepora umana” un organismo vivente, che attraverso le sue regole genetiche e le sue strutture interne si adegua di continuo all’ambiente. 3
A distanza di quasi un secolo, metabolizzati tali concetti, Koolhaas rende esplicita una sorta di “coscienza collettiva” attraverso la descrizione della città generica, occasione di ridefinizione di tutte le relazioni spazio-temporali intrinseche della realtà urbana contemporanea.
…La città generica spezza questo circolo vizioso di dipendenza (dal centro): è soltanto una riflessione sui bisogni di oggi e sulle capacità di oggi. E’ la città senza storia. E’ abbastanza grande per tutti. E’ comoda. Non richiede manutenzione. Se diventa troppo piccola non fa che espandersi. Se invecchia non fa che autodistruggersi e rinnovarsi. E’ ugualmente interessante o priva d’interesse in ogni sua parte. E’ “superficiale” come il recinto di uno studio cinematografico hollywoodiano, che produce una nuova identità ogni lunedì mattina… 4 Come nella Trude di Calvino è dalle grandi infrastrutture che questa città, ormai profondamente multirazziale, trae un forte elemento di riferimento, un processo di identificazione necessario alla localizzazione di un determinato sito…oggi gli aeroporti sono tra gli elementi più singolari e caratteristici della città generica, il suo più forte veicolo di diversificazione. Devono esserlo, essendo tutto ciò che l’uomo comune tende a percepire di quella certa città…con questa carica concettuale gli aeroporti diventano segni emblematici che si imprimono nell’inconscio collettivo planetario in sfrenate manipolazioni delle loro attrattive non aeronautiche…5
Del resto, da sempre il sistema delle infrastrutture attraverso le reti viarie, ferroviarie, portuali ed aeroportuali ha esercitato un ruolo decisivo nella conformazione delle città; orientando direttrici di crescita e modi di funzionamento interno, le reti agiscono non solo nella ridefinizione degli spazi di vita dei loro abitanti (e nella riarticolazione dei rapporti tra urbanizzazione intensiva ed estensiva, tra la città diffusa e quella consolidata), ma tendono a configurare se stesse come “nuovi luoghi urbani” dando forma ad inediti paesaggi e concentrazioni funzionali, contribuendo attivamente alla diffusione dei territori urbani. 6
Proprio attraverso un nuovo concetto di paesaggio, è possibile descrivere e comprendere la realtà urbana contemporanea forse rinunciando all’idea “storica” di città, che rischia di trascinare con sé troppi pregiudizi e forse non offre più gli strumenti adatti alle indagini opportune. Zardini, in Paesaggi Ibridi, sostiene che è necessario accettare il carattere eterogeneo della città contemporanea…composta di aeroporti e stazioni, centri commerciali e business parks, enclaves residenziali protette e quartieri degradati, centri storici che funzionano come centri commerciali e centri storici ridotti a ghetti, parchi, aree abbandonate e ritagli di campagna, zone industriali dismesse e nuovi politecnologici, strade e autostrade, tessuti storici e grandi estensioni di case unifamiliari, frammiste a laboratori, fabbriche, uffici, ipermercati.
Il nuovo concetto di paesaggio corrisponde invece ad una diversa idea della città, una idea che privilegia la molteplicità, l’eterogeneità, il contrasto, l’accostamento di elementi diversi tra loro. Non si tratta di costruire dei paesaggi omogenei, ma dei “paesaggi ibridi”, concepiti a partire da una nuova idea dello spazio. 7

In tale panorama si introduce lo studio sulla direttrice ferroviaria FM4 nota come passante dei laghi; fascio ferroviario inteso come un fiume di ferro che organizza la sequenza di luoghi ed attrezzature urbane, che generano inedite possibilità di riqualificazione delle “identità nascoste” dei frammenti di territorio ai margini della presenza ferroviaria.
Si coglie nella mobilità il valore intrinseco della nuova città.
Non a caso la città generica viene sempre fondata da gente in movimento, sempre pronta a spostarsi, stabilendo anche dei criteri di relazione (traslati dal mondo mediatico) radicati nel sistema di comunicazione attuale. Infatti, come sostiene Zucchi, entriamo e usciamo dai diversi contesti semantici molte volte al giorno, seguendo in fondo le stesse veloci regole dello zapping televisivo: un’amnesia istantanea del codice precedente ci permette di non creare catene surreali di significati. 8
Secondo Boeri prevale una certa attitudine alla fruizione “distratta” verso lo scorrere rapido di paesaggi, a usare il nostro corpo come un sensore erratico che rileva le variazioni che appaiono nel suo campo di lettura senza però esserne mai pienamente coinvolti. E’ una forma di consumo visivo fatto di rapidi guizzi dello sguardo piuttosto che di movimenti contemplativi. 9
Assistiamo alla presentazione di uno spazio in cui l’eterotopia diviene il nuovo paradigma urbano.
Il ruolo “ordinatore” delle vecchie gerarchie strutturali (previsioni urbane di tipo statico) viene superato dalle nuove modalità di fruizione per cui, per esempio, il G.R.A. diviene, oggi, una strada metropolitana fortemente aderente al contesto locale, prolungamento dello spazio e delle funzioni urbane.
Con la presenza, poi, unica nel suo genere in rapporto alla distanza con la città (oggi del tutto annullata), della struttura aeroportuale di Ciampino si può quasi definire il carattere di una Transit city in cui la possibilità di costituire un’attrattore urbano, insieme alla stazione ferroviaria di Ciampino, è un’occasione troppo importante per non essere indagata in modo organico. La stazione ferroviaria può divenire allora il condensatore degli scambi tra la città locale e la rete infrastrutturale regionale e nazionale, animandosi di molteplici attività culturali, economiche e ricreative le quali si connettono fisicamente e simbolicamente con l’aeroporto “riscoperto” come luogo urbano.
Si attivano, in questo modo, sinergie riferite a modelli di mutamento dinamici a più scale di riferimento, strumenti necessari per una nuova concezione di strategia urbana.
Oltrepassando il raccordo, ad una distanza temporale pari a quella di una fermata di metro (altro elemento di riflessione sul ruolo effettivo della struttura ferroviaria a livello locale), determinati fatti si susseguono ad un ritmo talmente serrato che è possibile rintracciare i presupposti per la costituzione di una prossima città ludica. La presenza dell’Ippodromo (con le relative strutture di servizio) costituisce il traino caratterizzante il possibile nodo intermodale di Capannelle. Non è casuale che l’Estate Romana trasferisca proprio in tali aree, al margine delle attrezzature sportive, i luoghi di raduno giovanili atti al “consumo” di esperienze musicali eterogenee, che trovano nell’organizzazione dell’evento stagionale denominato Fiesta la massima sublimazione dal sapore latino-americano.
Il fiume di ferro assume sempre di più un ruolo di tipo linfatico rispetto al rapporto che può instaurare con le diverse sponde, una sorta di limo infrastrutturale che suggerisce molteplici potenzialità di intervento anche nell’ambito della riqualificazione urbana. E’ il caso del borghetto di via dei Laterensi, piccola sacca di degrado, estranea e chiusa ai tessuti circostanti (delimitata dai quartieri Tuscolano ed Appio Claudio, al confine con la proposta abitativa, sempre attuale, di Libera) che appaiono, invece, fortemente consolidati sia sul piano dell’assetto viario e delle funzioni commerciali-residenziali che sul piano della tipologia insediativa. In quest’area residuale, di margine, era previsto il Piano di Zona A4 Tuscolano, redatto da Colasante, che aveva come obiettivo quello di recuperare una continuità d’uso ed una qualità ambientale più congruenti con l’alto valore localizzativo dell’area.

Il programma individuava quattro strategie d’intervento, calibrate anche sulle capacità di relazione con il progetto Ina-Casa di De Renzi e Muratori:

1. riutilizzare un’area già infrastrutturata per la realizzazione di abitazioni di tipo economico e popolare.
2. ripristinare la continuità fisica e funzionale della trama viaria che pone in connessione la zona sud del Quadraro con il quartire Appio Claudio e con la via Tuscolana.
3. creare le condizioni generali al contorno per la formazione del nodo di scambio del metrò nella stazione Numidio Quadrato.
4. risolvere, in termini di riqualificazione ambientale e di paesaggio urbano, le evidenti smagliature del tessuto, ricostruendo una “figura” complessiva dello “spazio urbano”.

Al di là degli esiti progettuali, e dei contenuti semantici intrinseci nella proposta, sembra opportuno considerare il valore del luogo come una delle potenzialità urbane ancora inespresse.
E’opportuno, nella condizione di continuum edilizio che proietta l’osservatore verso la dimensione di una “città Tuscolana”, immaginare una compresenza di situazioni che attivino logiche di relazione legate al concetto sociologico di mosaico urbano. La visione che si traduce basa sul contrasto, sulla tensione, sulla discontinuità la nuova sensibilità dell’utente-viaggiatore, consumatore passivo dei prodotti metropolitani.
Immaginare, allora, il completamento “virtuale” di tutte quelle architetture urbane interrotte (basti pensare ai Piani di Zona previsti e non attuati da Portoghesi e Quaroni per Casale di Gregna ed Anagnina) non può che sostanziare l’inevitabile processo in atto del lento, ma inesorabile, inurbamento lungo tutto il tracciato ferroviario (che al 2004, lungo via di Lucrezia Romana ed in adiacenza al polo attrattore commerciale di IKEA, sul tracciato dell’anagnina, presenta una quantità notevole di fabbricati in costruzione di edilizia convenzionata). L’aumento della densità edilizia non può che sostanziare un programma di cura del ferro, necessariamente alternativo al trasporto su gomma, trasferendo allo spazio delle stazioni ferroviarie un ruolo che oltrepassa il significato rigorosamente monofunzionale al solo esercizio della mobilità.
Clementi, in merito, offre alcune riflessioni sugli universi di contenuti legati alle (ormai plurime) realtà della stazione ferroviaria, calibrando alcune definizioni che possano rappresentarli in modo più coerente alle esigenze attuali quali: incrocio di mobilità, luogo di compresenze, spazio di attese, induttore di ricettività, luogo delle molteplici temporalità. La stazione assume così un carattere segnato dalla mobilità dei diversi flussi, le attività e le presenze si mescolano variamente secondo traiettorie che separano e che uniscono individui fino a cogliere, nell’uso diversificato del luogo, un’area di relazione che del vecchio fabbricato viaggiatori ne diviene solo una lontana memoria.
Anche la stazione Tuscolana, in un percorso che conduce sempre più verso l’interno della città, assume un ruolo determinante in un programma di riqualificazione organico, in ragione delle enormi potenzialità che tale nodo urbano raccoglie. Le problematiche di un centro integrato di servizi (costituito da un nodo di interscambio tra ferrovia extraurbana, ferrovia urbana, metropolitana, mezzo pubblico e privato, e da un complesso di attrezzature a carattere terziario) sono state affrontate in moltissimi studi che hanno posto l’attenzione ad una parte di territorio clamorosamente disatteso dall’amministrazione comunale, ma ricco di opportunità di intervento. In realtà la peculiarità di tale ambito è anche quella di raccogliere, attraverso un canale diretto, proprio come l’estuario di un fiume, tutte quelle indicazioni di recupero a parco (a carattere prevalentemente archeologico) necessarie a restituire dignità ad uno spessore di territorio definito fra i margini della ferrovia e degli acquedotti, che si identifica oggi con via del Mandrione.
Nasce la definizione di un parco ferroviario che, accompagnando ed intersecando la direttrice ferroviaria lungo il parco dell’Appia con i segni del passato, risolve le possibili dinamiche di intervento anche attraverso la presenza dei plurimi tracciati della memoria urbana.

Al contemplare questi paesaggi essenziali, Kublai rifletteva sull’ordine invisibile che regge le città, sulle regole cui corrisponde il loro sorgere e prender forma e prosperare e adattarsi alle stagioni e intristire e cadere in rovina. Alle volte gli sembrava d’essere sul punto di scoprire un sistema coerente e armonioso che sottostava alle infinite difformità e disarmonie, ma nessun modello reggeva il confronto con quello del gioco degli scacchi. Forse, anziché scervellarsi a evocare col magro ausilio dei pezzi d’avorio visioni comunque destinate all’oblio, bastava giocare una partita secondo le regole, e contemplare ogni successivo stato della scacchiera come una delle innumerevoli forme che il sistema delle forme mette insieme e distrugge. 10

NOTE

1 I. Calvino, Le città invisibili, Einaudi, Torino 1972, p.135

2 P. Geddes, Città in evoluzione, Milano 1970

3 R. Pavia, Le paure dell’urbanistica, costa&nolan, Genova 1996, p.18

4 R. Koolhaas, La città generica, in Domus, n° 791, marzo 1997, p.3

5 R. Koolhaas, op. cit., p.4

6 A. Clementi, Lo spazio delle infrastrutture, ed. U.Sala, Pescara 1996, p.14

7 M. Zardini, Paesaggi ibridi, ed. Skira, Milano 1996, p.22

8 C. Zucchi, Enclave: la città delle minoranze in Paesaggi ibridi, ed. Skira, Milano 1996, p.32

9 S. Boeri, Luoghi in sequenza in Paesaggi ibridi, ed. Skira, Milano 1996, p.64

10 I. Calvino, op. cit., p.128

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