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29 Novembre 2007

Entropia

Tra i diversi concetti di (dis)ordine dell’archispazio l’entropia viene intesa come l’ombra di tutta l’organizzazione, il rumore di fondo da cui emergono tutti gli ordini dinamici

E’ Reinhold Martin a proporre alla fine degli anni novanta il riconoscimento dell’entropia come termine architettonico positivo “…come contro-strategia rispetto alla, spesso camuffata, tendenza organicista verso l’ordine nella teoria architettonica contemporanea…” In questa fase temporale è dalla Columbia University, ambito in cui Martin dal 1997 viene coinvolto come Assistant Professor of Architecture, che il processo di sperimentazione sull’architettura assume una dimensione trasversale di tipo globale. La parola chiave sembra essere contaminazione (forse avremmo potuto inserirla nel nostro index…), e la trasmigrazione di concetti e termini ormai metabolizzati nella cultura diffusa rappresenta la necessità del progettista di indagare il pensiero architettonico secondo una percezione attenta e sensibile alle  caratteristiche (o anche alle mode in quanto fenomeno oggettivo non più trascurabile) della contemporaneità. Dalle indicazioni più o meno esplicite espresse nelle pagine della rivista Grey Room fino alla pubblicazione con Kadambari Baxi del testo Entropia sembra evidente lo “sdoganamento” di questo termine come nuovo condimento del piatto architettonico.

“…Tecniche formali, strategie programmatiche, e risposte specificamente elaborate per un sito devono essere convertite in armi contro sé stesse, diventando, solo, materiale tanto grezzo da essere riformattato secondo principi entropici. Ciò non riguarda, quindi, l’invenzione di nuove forme, nuovi programmi, o nuovi siti in quanto tali, ma le re-invenzione di questi elementi, compiuta e ricompiuta, sottoponendoli a un processo di continuo campionamento, sovrapposizione, mescolamento, e distorsione che rende irriconoscibile l’originale, in un eterno ritorno all’infinito (o a zero) – il rumore bianco del feedback positivo…” E’ con queste parole che Reinhold Martin introduce il concetto di entropia in quanto paradigma architettonico, come denominatore comune di un sistema che procede secondo una legge fisica universale che attraversa coscientemente anche la dimensione creativa.

In fin dei conti quando anche Achille Bonito Oliva descrive gli aspetti più intimi connessi alle opere di Tatsuo Miyajima, non si esita a ricorrere alla visione dello stato entropico.come condizione intrinseca del pensiero. Infatti il critico sostiene che il fattore tempo è una componente fondamentale della concezione artistica, ed in particolar modo in Miyajima che “…dimostra come l’opera sia l’omologazione di uno stato entropico che tende all’infinito, nel senso che l’ultimo non corrisponde mai al tempo ultimo ma soltanto all’istante dell’ultimo numero, succeduto dall’ultima pausa. Il destino entropico, rappresentato dalla scansione meccanica del tempo a ritroso, significa non tanto lo spegnimento dell’arte quanto il suo diventare natura morta,  capace di rappresentare appunto l’irreversibilità del tempo. Ma anche di evocare la tragedia di Hiroshima, l’Olocausto, il martirio etnico dei Balcani, insomma quello che Miyajima intitola MegaMorte. Se la progressione numerica è inarrestabile, anche la velocità e la progressione cromatica seguono le stesse leggi, man mano la cifra assume una tonalità che ne attenua la leggibilità fino al bianco su bianco, ovvero all’annullamento del segno…”

Se allora introduciamo il concetto di entropia non solo come una misura del disordine di un sistema fisico (o più in generale dell’universo), secondo il quale quando si passa da uno stato ordinato ad uno disordinato la sua entropia aumenta, è possibile intendere ogni processo della natura e delle attività umane secondo tale dimensione. Infatti, ogni trasformazione reale è percepibile come una trasformazione irreversibile in quanto l’entropia aumenta e questo dato ci conduce verso l’interazione (cosciente o inconsapevole) con tutte quelle attività del “fare architettonico” contemporaneo, dalla realizzazione di un oggetto alla modificazione dello spazio tridimensionale. In tal caso i vari “attori”, dal progettista al critico, si dotano di quei concepts  teorici che, a volte, saccheggiano a piene mani i contenuti fino ad ora espressi. Dalla Teoria del caos, come dinamica strutturante i nuovi sistemi ordinatori per mezzo di attrattori apparentemente casuali, alla Sinergetica, come scienza degli effetti combinati che dalle osservazioni sulle fluttuazioni casuali traccia i nuovi modelli di interpretazione, fino alla futura Teoria quantistica della gravità, in cui l’infinito grande si miscela con l’infinitesimo piccolo, i protagonisti attivi e passivi del panorama architettonico ne sono inesorabilmente coinvolti.

Pensiamo, per esempio, ad alcuni disegni di Daniel Libeskind (The architecture of end space) in cui le “visioni grafiche” sono il manifesto di un processo intellettuale proprio di tipo energetico. La traduzione fisica di questa impostazione culturale viene ottenuta con la macchina teatrale, omaggio ad Erasmus e più in generale alla mente rinascimentale, che sembra riflettere la metafora dell’ingranaggio come espressione di un microcosmo ed il suo stato entropico. Da Little Universe a Time Sections i temi che sono raccontati nei vari elaborati accolgono sempre una variabile fondamentale che esprime quella che potremmo definire come la coscienza del XX° secolo: il fattore tempo. Il tempo ha un rumore impercettibile, si lascia cogliere soltanto nel trascorso, oppure nell’interstizio, nella pausa che intercorre tra avvenuto e avvenire. Termini come pausa, interstizio, vuoto e disgiunzione sono strettamente correlati al segnale-di-rumore che definisce lo scenario entropico come il nuovo motore evocato dall’età dell’informazione. Tali parole appartengono alla dialettica architettonica contemporanea come una sorta di nuovo codice linguistico, sempre mutevole ed in continuo aggiornamento, a volte contraddittorio ma indice di costante attualizzazione e metabolizzazione dei fenomeni socio-culturali.

Se osserviamo alcune residenze di Eric Owen Moss (dalla Lawson Western house alla Aronoff house) sembra proprio di partecipare ad una foto istantanea di questo lento processo di trasformazione, come se la casa fosse coinvolta in un movimento perpetuo secondo un’impercettibile, ma inesorabile, continuum spazio temporale. Lo spazio fisico si cristallizza per mezzo di una quantità di elementi che stabiliscono fra loro relazioni (dirette ed indirette) secondo una legge dinamica che non corrisponde a nessun tipo di criterio percettivo connesso ai principi della geometria euclidea. Il richiamo, per esempio, della Casa Aronoff al loop escheriano intitolato relativity non può essere trascurato. Dal riferimento formale ai contenuti concettuali che trasmigrano fra le due applicazioni si definisce chiaramente il panorama culturale entro il quale Architetto e Committente dialogano.

Franklin D. Israel conferma la vitalità dell’architettura sperimentale californiana ereditata da Frank O. Gehry attraverso una serie di operazioni che trovano molti punti di contatto con gli argomenti affrontati. La poetica espressiva e le articolazioni spaziali a cui le differenti realizzazioni (dalle residenze agli Studios) afferiscono lascia presupporre una sorta di entropizzazione dell’architettura più che una semplicistica adesione al fenomeno decostruttivista. Non a caso l’allestimento effettuato alla fine degli anni ottanta presso il Walker Art Center Exhibit, Architecture Tomorrow, raccoglie i primi segnali (in particolar modo nel padiglione vegetale) di una adesione al rumore di fondo come potenziale espressivo. Anche i sistemi costruttivi ed i conseguenti esiti formali dei complementi di arredo risentono del ritmo come sistema ordinatore. La serialità infatti è alla base di queste scelte progettuali, quasi a sostanziare il “destino entropico” tracciato da Achille Bonito Oliva.

Forse, oggi sembra meno distante anche Isaac Asimov che diede l’avvio ad uno dei suoi innumerevoli racconti con la domanda:…com’è possibile diminuire in modo massiccio il quantitativo di entropia dell’universo ?…

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